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5 settembre 2018
Attenzione a chi vuole proteggervi dalle bufale

Negli ultimi mesi, ve ne sarete accorti tutti, si è fatto un gran parlare di "bufale", di "fake news" e di "fact checking", ma cosa c'è dietro a questa apparente crociata in favore della verità? Ve lo siete chiesti? Possibile che, improvvisamente, giornalisti e politici siano votati alla sconfitta della disinformazione? Proprio loro che, come la storia ci insegna, hanno prosperato sulla propaganda e sulla manipolazione dell'opinione pubblica?

Non pretendo di fornirvi risposte definitive (altrimenti sarebbe una "bufala") ma vorrei analizzare con voi la situazione, sperando di suggerire spunti e strumenti utili alla maturazione di una consapevolezza indispensabile per mantenere un pensiero indipendente.

Per interi decenni la stampa prima, e la televisione poi, hanno beneficiato di un monopolio assoluto dell'informazione. Hanno potuto, in mezzo a tanto ottimo giornalismo, creare notizie ad arte, insabbiarne altre scomode, sbattere mostri in prima pagina, condizionare mercati e tornate elettorali, insomma, una vera e propria pacchia per tutti i lobbisti che curavano le strettissime relazioni tra poteri economici, potere politico e informazione. Semplicemente, non avevano contraddittorio. Se il giornale diceva che in Iraq era successa una cosa, come potevi tu, umile lettore di un quotidiano che vive in una sperduta provincia italiana, verificare o smentire la notizia? Non potevi, punto.

Poi è arrivato internet ed il web. Prima che ci mettesero le mani le grandi multinazionali del settore IT, il world wide web era il paradiso dei siti amatoriali. Semplici privati cittadini che, come il sottoscritto, investivano i propri soldi per registrare un dominio e si facevano le ossa con il linguaggio HTML, solo per portare la propria voce a chiunque, nel mondo, fosse interessato ad ascoltarla. E così poteva capitare di trovare un blogger iracheno che riferiva una verità piuttosto differente da quella riportata dal quotidiano italiano (solo per fare un esempio). Improvvisamente gli intermediari dell'informazione non sembravano più indispensabili: potevamo avere notizie di prima mano, riportate da chi le avesse vissute in prima persona, e spesso non concordavano con le versioni ufficiali delle agenzie stampa internazionali.

La situazione è quindi definitivamente esplosa con la diffusione dei social network, che hanno dato voce a chiunque avesse uno stupidphone ed un account twitter o facebook. Miliardi di informazioni, per lo più insulse, hanno intasato la rete permettendo agli operatori telefonici di arricchirsi vendendo quantità di traffico dati impensabili soltanto pochi anni prima. In un simile scenario è naturale che abbiano trovato spazio miriadi di sciocchezze, di inesattezze e di vere e proprie invenzioni. Ma siete sicuri che è proprio da queste che vorrebbero proteggervi i tanti "paladini della verità" che portano avanti la crociata anti-bufale?

Le misure adottate, dalle iniziative parlamentari fino agli algoritmi che decidono quali argomenti e tesi siano inattendibili, assomigliano più ad una vera e propria censura di orwelliana memoria. Si cerca di fare accettare all'opinione pubblica la tesi che esista soltanto una versione ufficiale di ciò che accade nel mondo, quella riportata dai governi e dalla stampa "istituzionale", con la complicità dei colossi del web, ovvero Google e Facebook, che da sole controllano la gran parte delle informazioni veicolate attraverso internet.
Il motore di ricerca più usato al mondo ha già dichiarato di avere degli algoritmi in grado di valutare l'attendibilità di una fonte: in pratica, quando facciamo una ricerca sul web, ci vengono mostrati soltanto i risultati che "piacciono" a Google. Avete capito bene: è qualcun'altro a decidere quali notizie debbano giungere a voi e quali invece no.
Pare che Facebook disponga di "bot" (finti utenti gestiti da un algoritmo) in grado di impegnare una discussione con utenti che propongono argomenti "sconvenienti": in pratica l'utente crede di aver trovato ascolto mentre l'intera discussione è oscurata a tutti gli altri utenti "veri" e lui sta perdendo tempo con una macchina in una sorta di limbo virtuale.

E poi c'è la campagna denigratoria vera e propria, secondo la quale il web sarebbe popolato esclusivamente da pazzi, visionari, complottisti e mistificatori, mentre le informazioni diffuse da stampa e tv sarebbero vangelo. Ovviamente non è così. Chiunque tra voi ricorderà tanti presunti "scoop" dei mezzi di informazione tradizionale poi miseramente smentiti dai fatti. E stiamo parlando solo di quelli di cui siamo venuti a conoscenza. Non dimentichiamoci di vivere nel Paese in cui non si è mai saputa la verità sulla strage di Bologna, sull'abbattimento di Ustica, sul rapimento Moro e tanti altri "misteri" inaccettabili.

Con questo non voglio dire che soltanto il web detiene la verità, tutt'altro. Essendo aperto a tutti è naturale che il web sia esposto al proliferare di informazioni false ed inesatte. Agli inizi, quando era costituito quasi esclusivamente di siti amatoriali, c'era una minima selezione: per avere la propria voce su internet occorreva avere un PC, saperlo usare, investire qualche soldino per l'hosting e spendere del tempo per apprendere l'HTML. Ora chiunque può postare una idiozia su Facebook facendola giungere, potenzialmente, a milioni di persone. Ma il web rimane l'unico posto dove poter trovare anche notizie reali che vengono ignorate o addirittura insabbiate dai media tradizionali, se si sa come cercarle. A voi, poi, resta l'onere di verificarle.

Insomma, c'è e c'è sempre stato un modo per difendersi dalle bufale, dalle falsità e dalla propaganda: usare la propria testa. Non lasciatevi dire da qualcun'altro quali debbano essere le vostre fonti di informazione. Non accontentatevi della prima versione dei fatti che trovate, ma confrontate diverse fonti e cercate di mediare tra loro, costruendovi una posizione ragionata.
Non utilizzate sempre lo stesso motore di ricerca. Se tutti cercassimo informazioni sullo stesso motore giungeremmo tutti alla stessa versione dei fatti e finiremmo, col tempo, per pensare le stesse cose. E non sarebbe più il nostro pensiero, ma quello di Google. Soltanto la diversità, il confronto ed anche il dissenso portano a crescita e sviluppo, mentre l'omologazione porta alla stagnazione ed all'imbarbarimento.

Paolo Tortora
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